Nonostante l’immunità temporanea alle fiamme, Loscia iniziava a sentire le prime ustioni della disperazione: il bianco principe promesso non si stava facendo vivo.
Nelle fiabe una donna qualunque poteva sempre sottrarsi al proprio destino, se avverso, senza chiedere aiuto a nessuno. Addirittura certi eminenti maghi vestiti d’arcobaleno sostenevano che “Anzi, dovrebbe sempre farlo!”. Ma una principessa, una vera principessa come Loscia, e dunque bellissima e maledetta, non era assolutamente fatta per salvarsi da sola. Soprattutto, non aveva nessuna intenzione di farlo.
- Principe… Bianco mio principe… Dove cazzo sei finito?!
La velata armatura di magica rugiada donatale da Merletto stava già per svanire, quando, là fuori, la principessa Loscia vide passare più da vicino le narici fumanti e poi l’ispezionante occhio a spillo del piumato drago rosso Rossodisera.
E poi le lunghe corna viola, ondulate dal vento nei millenni, e la criniera, splendente ma a ribasso come il sole al tramonto. E poi le vaste ali, artigliate come le vele di un vascello fantasma, a sovrastarne e sorreggere il grasso panciotto, un piastrone bruno, tondeggiante e duro come lo scafo dello stesso vascello. E poi le muscolose zampe dai lunghi artigli rapaci, capaci di catturare tutto, compresa l’attenzione. Infine la lunghissima coda serpeggiante, sulla quale si concludeva la processione di placche dorsali sempre più piccole, simili a violacei petali d’osso devoti al cielo.
Fu proprio con la coda che, nell’allontanarsi, il drago schioccò una scia di tramonto contro una torre di ronda, tranciandola di netto come un nerbo di frusta che umili uno stelo di rosa. Nel terremoto che ne seguì, Loscia dovette schivare con un balzo da lepre una grossa pietra, che convolò su di lei con una feroce pioggia di polvere e cenere.
Schivata la morte ma presa dal panico, la principessa corse verso il centro della stanza, dove un largo tappeto era appena stato spento dai detriti: – C’è mancato poco questa volta… Principe Artuno… ti vuoi sbrigare!
In quell’isoletta fortunata Loscia sfiorò con una mano la pace, ma nonostante il pavimento scottasse e lei dovesse saltellare per contrastarlo, subito rabbrividì per ciò che vide. Il romantico Rossodisera aveva virato due volte di scatto nel cielo notturno, tracciando con la sua scia di tramonto quello che di fatto a Loscia parve essere proprio un cuore pieno di stelle. Tremò poi Loscia, perché il drago vi si posizionò al centro e le sue fauci tornarono a salivare colonne di lava, talmente imponenti che le sembrarono sorreggerlo. E quando il Rossodisera le risucchiò, come si fa col pendulo raffreddore, Loscia capì subito l’antifona. Il suo mostruoso pretendente stava per regalarle una palla di fuoco come mai vista prima. Fu forse per questo che Loscia decise di appendere la coroncina da principessa alla cappelliera e di salvarsi da sola.
- Ma tu guarda se proprio a me…
Le gambe le reggevano a malapena e sapeva che Merletto aveva sigillato la serratura con la magia, ma tremebonda e fragile come un cervicorno appena nato, la principessa arrivò lo stesso alla porta.
Il primo passo per l’autoaffermazione era compiuto, ma il pomello era rosso come un pomodoro e lei non ci fece caso: – Ahia, mannaggia la miseria, i maghi e i draghi!
La principessa lo afferrò nuovamente. Non è un gran problema bruciacchiarsi una mano per non finire sul rogo. Oltretutto l’ultimo velo di rugiada magica le avrebbe fatto da guanto da forno.
Stringendo i denti Loscia riusci nel suo intento e fu felice dello scatto benevolo che provenne dalla serratura, seppur insieme a un odore appena percettibile di carne di principessa arrosto. Merletto, anche lui in attesa del bianco principe, l’aveva finalmente liberata dalla prigionia.
- Sono… libera! Non mi serve alcun principe! Stasera me ne andrò alla Locanda dei Senzastorie a far baldoria come ho sempre sognato! Chissà se rivedrò quello stalliere…
Non era Loscia a parlare, ma la disidratazione, e smise non appena la principessa vide decine di cani di fuoco risalire rapidamente la scalinata interna della torre, per attaccarla ringhiando scintille. Loscia richiuse rapidamente la porta e, mentre vi premeva con l’addolorata bianca schiena per tenerli fuori, le presero fuoco i capelli: – Io ci rinuncio, – pensò Loscia tornata in veste di principessa, – non è destino. Artuno, aiuto!
Nel mentre bruciava, la nostra principessa sentiva urla nelle stanze vicine spegnersi come gli stridii degli insetti nella legna del camino, Erano quelle le incenerite voci della sua famiglia.
Con l’ultima goccia di magia restante ad avvolgere lei e tutto ciò che più amava, Loscia, vivendo le fiamme, andò verso l’armadio e indossò il lungo vestito rosso rubino da principessa. Era bellissima, maledetta e spacciata. Si sedette poi alla specchiera e con la spazzola bruciante si pettinò le fiamme dei capelli verso l’alto, come a guidarne il divampare. Infine la principessa si portò sul suo letto e si addormentò.
Per mantenerlo stabile, le ali del Rossodisera spostavano una tale mole d’aria da spegnere a ogni battito l’intero Castello Magico, che tuttavia, al dispiegarsi delle stesse, subito si riaccendeva come le candeline sulla torta di un centenario.
Giunto illeso in cima alla torre più alta, il mago di palazzo Merletto risplendeva d’azzurro più che mai e, sotto il cappello dalla larga e merlettata tesa, severo il suo sguardo sfidò quello aguzzo del ciclopico drago rosso: – Io sono il mago di palazzo Merletto e ora ti sconfiggerò, Rossodisera, e lo farò per la mia Loscia! La amo da… Beh! Circa dieci minuti, ma è come se l’amassi da quindici. Le tue fiamme non la scalfiranno mai grazie a me. Il principe Artuno non è giunto, ha perso la sua “carrozza”, la sua occasione di ucciderti. La sua fiabesca occasione di averla.
Il drago non se lo fece ripetere due volte, anche perché da lassù non sentiva. Sferificò con la lingua biforcuta una palla di fuoco mai vista e la scagliò dal cuore di tramonto nel cielo. Merletto allargò allora entrambe le braccia e, con un gesto del magico bastone, grazie al quale fino a poc’anzi si era tenuto in piedi, respinse l’attacco infuocato confondendolo tra le stelle lontane.
- Palle di fuoco, solo questo sai fare?! Tieni, allora! – e usando il bastone come pennello, mago Merletto disegnò con luce magica il simbolo di una goccia davanti a sé. Il suo sguardo era implacabile.
Dal simbolo si generò una sfera d’acqua ghiacciata e satura di magia, che Merletto scagliò contro il nemico. Tuttavia il drago non sembrò preoccuparsene. La sfera azzurra gli si infranse addosso come un gavettone lanciato contro una fornace accesa. Il mago di palazzo vacillò, ma non si perse d’animo: – Non La avrai, Rossodisera! – pensò Merletto in preda all’ira. – Non permetterò al principe Arturo di portarmi via Loscia, – sussurrò tra sé e sé. – Costi quel che costi, sarò io a sconfiggerti e a salvarla! – urlò splendendo d’azzurra luce.
Il mago disegnò nell’aria una pioggia di gocce e scagliò contro Rossodisera un acquazzone di violentissime sfere magiche. Dipresso il drago barbuto fece una pesante piroetta su se stesso, e contrattaccò con altrettante tumultuose palle di fuoco. Dall’impatto si generò una nebbia densa come neve.
Nella bruma fitta l’ombra del drago ora si aggirava stranamente silenziosa. Una leggera pioggerellina iniziò a condensarsi e a cadere nei meandri incendiati del castello, evaporando non appena sfiorasse cosa. Merletto si passò una mano lungo la barba per strizzarsela, e questa si arricciò come il disegno di una conchiglia: – Sono disposto a perdere tutto per averla, anche me stesso, drago. Preparati!
Nell’aria, anziché il simbolo blu della goccia, questa volta Merletto tracciò col suo bastone magico il simbolo nero del teschio. La sua aura si fece cupa e sinistra, mentre il suo spirito corrotto e malvagio. Era solo la brama di possedere Loscia che ora lo possedeva: – Drago, – ringhiò Merletto con una voce che fece eco negli inferi prima di uscirgli di bocca, – non dovevo essere io il mago di palazzo, il più forte tra noi a scuola era Uncinetto. Ma lui conosceva una magia proibita capace di cancellare qualunque cosa dalla realtà e Re Tizzone, temendolo, lo mise al rogo. Ora però Uncinetto tornerà, gli darò per casa il mio corpo e tu scomparirai. E sarà il tramonto dei tramonti!
Merletto iniziò una strana danza, canticchiando in una lingua antica e perduta: – Ulla, Olle, Ello, Allu, Illi, Illi! – poi si schiarì la voce. – Un attimo, ci vorrà ancora un po’, gli inferi sono lontani.
Uno strappo nella fitta nebbia fece il suono di uno scarpone che affondi rapido nella neve alta. I cattivi improvvisati perdono troppo tempo a spiegare i propri piani. Una palla di fuoco immensa aveva bucato la nebbia, colpendo il mago in nenia poco prima che il perfido Uncinetto riuscisse a impossessarsi completamente di lui, rendendolo di fatto impareggiabile. Il calore fu tale che la magia protettiva del Castello Magico esplose d’azzurro come un sottilissimo cristallo colpito da un sasso.
- Non… non è possibile… Solo qualche altro istante e Uncinetto ti avrebbe cancellato vivo!
Il mago abbassò lo sguardo ai propri sandali: si erano squagliati sulla pietra rovente. Il blu della palandrana svolazzante si era arrossato a mille volte la velocità del tramonto, incendiandosi. Merletto si sentì come nel sole. Prima gli si accese la barba, poi gli si spense la voce: – Ulla, Olle, Ello, Allu, Illi…
Sembrava finita, ma lo scheletro abbandonato di Merletto pulsava ora d’una tetra magia malvagia e questa lo spinse nella pietra del Castello Magico come una bustina di tè infusa nell’acqua. La sinistra aura nera che lo avvolgeva si propagò ovunque nel castello, fino al cuore della principessa, e sembrò tornare a proteggerlo.
Lo scheletro di Merletto riaffiorò dalla pietra in piedi. Era come se nell’oblio del suo sguardo di teschio vi fosse di altra vita. Sia il cappello che la palandrana da mago si erano tinti di nero, come l’aura che ora emanava, e non erano più merlettate ai bordi, bensì completamente fatti ai ferri. All’uncinetto a esser chiari.
Di Merletto, in quell’essere che scricchiolando tra le fiamme si era messo a fare esercizi di stretching, non c’era assolutamente più nemmeno l’ombra: – Io sono Uncinetto, il mago malvagio, – batté i denti lo scheletro, – seppure non ho riottenuto totalmente i miei poteri, quelli che sono riuscito a portarmi dietro dagli inferi basteranno a proteggere Loscia per almeno tre giorni. Dai ricordi di Merletto so che deve arrivare un bellissimo bianco principe a salvarla e allora mi impossesserò di lui e Loscia sarà mia per sempre.
- Eccone un altro… – questo fu quello che a Uncinetto parve di sentire dalle sottostanti stanze di Loscia. Si affacciò da un buco sul pavimento e la vide bruciare, bellissima nel suo letto a baldacchino e avvolta dalla sua vaporosa luce nera. Dormiva.
Per un gioco del destino, dopo aver visto Loscia addentrandosi nella mente di Merletto, Uncinetto era caduto vittima della maledizione che lui stesso le aveva scagliato contro un anno prima. Quando la nuova palla di fuoco lo colpì, Uncinetto non smise nemmeno per un istante di guardarla: – Non è il primo rogo a cui mi condannano, drago. Muahahah!
Continua…
Due chiacchiere con lo scrittore: Vi è mai capitato di sentirvi avvolti dalle fiamme come Loscia? Tutti che pretendono qualcosa da voi che siete rinchiusi in una torre magica senza possibilità di fuga. E tu stai lì e devi salvare tutti mentre tutto brucia, mentre dal soffitto cadono i massi e mentre il tuo ruolo in società, quello che hai sottoscritto non sai più nemmeno perché, è l’unico ruolo che sai svolgere, l’ultima identità che ti resta. Bene, anzi male, ma non sei solo. Le principesse, i principi, le vedette, il ciambellano – che non è il fornaio del castello – tutti noi, me compreso, alto esponente della servitù, tutti noi combattiamo ogni giorno le nostre fiamme a mani nude e spesso senza un goccio d’acqua. Non ci sono grossi consigli che io possa darvi in questo caso, perché altrimenti non avrei sentito l’esigenza di scrivere così la mia principessa, quindi speriamo tutti nel bianco principe Artuno e stiamocene beatamente ad attenderlo, perché no, facendoci belli mentre tutto brucia.
