Alan Scuro – Episodio XLIX – Chichamante, il Re Cimice

(Negli episodi precedenti abbiamo visto la sconfitta degli ultimi tre robottoni rimasti a difesa del Varco di Tarlo. Dal tunnel che collega la Terra al Cosmo di Nessuno è inoltre riuscita a passare una Cimicicciona, rimbalzata sulla Luna come una normale cimice impazzita avrebbe fatto lungo una parete bianca. La Cimicicciona è così finita a terrorizzare Servilnano, un piccolo comune quadrato non troppo lontano da Monsampietro Mollico. A questo punto, non dico nello spazio ma almeno sulla Terra, per logica dovrebbe intervenire l’eroe in pensione che dà il titolo a questi racconti. Eppure Alan Scuro, ancora infastidito dal gonfiore inguinale, seppur in regressione, e proprio perché è in pensione, se ne sta beatamente in casa sua a costruire la riproduzione del robottino di plastica Rodi-Tob del suo scomparso migliore amico Didamante, alternando impeti di gioia alle bestemmie che la nobile arte del modellismo prevede. Ed ora che anche la speranza sembra dunque essere morta, non ci resta che andare al suo funerale, con l’ingoiato sorriso piano di chi almeno sa che peggio di così non potrebbe andare. Vero? Vero?!)

C’era quella stella verdissima e intorno le volteggiava il malsano pianeta verde delle cimici. C’era, ed era al confine ultimo dell’universo. Più in là da quella infatti si poteva scorgere una immensa parete di un grigiore violaceo, pulsante e umidiccia, nella quale immense bombature e abissali sprofondamenti, talmente vasti che nessuno, se non li vedesse, potrebbe immaginarne la vastità, davano sempre ai Prestabiliti, gli unici votati a raggiungere tale estrema lontananza, la vaga impressione di star guardando un cervello umano, ma dall’interno.

E ora che i Prestabiliti tutti erano fuori gioco, dovrei essere io ad aver visto per voi e a sapervi spiegare l’inspiegabile. E sì l’ho visto e vi dirò di ciò che attraversò per di qua l’immenso umido confine. Tuttavia va considerato che per quanto difficile sia indicare un punto esatto nel cielo, senza gabbiano, aereo o stella lì vicino su cui puntare il dito, ecco, indicare il punto esatto su quella parete di tutto-così-uguale che Chichamante attraversò mi sarebbe impossibile. E dunque mi è impossibile dirvi da dove, sciogliendo tale molliccia membrana violacea col proprio verdastro duro carapace, come lama rovente una lastra di cera, quell’essere per di qua provenne. Nonostante sia io che sul mio naso intravidi ciò che nessuno poté vedere, io che so la grigia cera sciogliersi e rinsaldarsi nervosamente in me. Io che, come una madre, lo conosco meglio di chiunque altro e adesso tremo nel sentirmelo dentro, cosciente di tutto e infuriato verso di me che l’ho creato.

Cicatrizzatasi dietro Chichamante la madida ferita nell’immensa parete, come zuppa quando da essa estrai il cucchiaio di legno, lui si mosse verso i tre robottoni inerti nel Cosmo di Nessuno, già paghi della loro inferiorità numerica nei confronti dell’esercito di cimici che li aveva circondati, avvolti e in ultimo asfissiati.

Lui si avvicinava con occhi d’insetto, arancioni bottoni ovali, obliqui e inespressivi, come il rostro vampiresco ai lati della bocca, serrata come uno scrigno chiuso pieno di sapere. Era umano, era insetto, era un mostro mai visto e le sue ali di cimice battevano velocissime il vuoto cosmico, sfiorando l’invisibilità più per nervosismo che per permettere al suo chimerico corpo di spostarsi nel nulla.

Giunse ai Prestabiliti Chichamante proprio quando il pianeta transitava via da davanti alla sua stella eclissata, e come il sole irradia il volto di chi da esso sposta la mano, un raggio verde ne colpì il carapace che tutto gli aderiva all’esile ma spaventosa muscolatura, come fosse un’armatura biologica volta a contenerne l’immensa potenza distruttiva.

Colpito dalla luce il suo verde raddoppiò, e divenne di smeraldo il Re delle Cimici, tanto che dall’astronave Matron poco lontana venne riconosciuto già solo per la metà di quello che era, e un grido muto di ragazza imperlata di lacrime si levò forte nonostante la stretta dei Secret che ne trattenevano a stento per le braccia il pianto straziato. Si levò al di là di uno spesso vetro sempre più puntinato di verde cimice. Si levò tale che Chichamante indietreggiò dallo Zeus-Tob di Calvin Bias, incredulo d’aver percepito dopo tanto tempo l’armonia di una voce cara, figlia della sua metà delle due più umana. Era una piangente voce muta, propagatasi per frequenze sconosciute nello spazio aperto, ovvero laddove un grido disperato resta dov’è e non prova nemmeno a cercare chi possa ascoltarlo. Ma Chichamante ne era certo, quella era la voce di sua figlia, la voce di Armoniosa.

– Papà, sei tu? Fermati, papà! Non fare del male a Calvin!

– Basta, Armoniosa, – le disse Mind Secret tenendola per il braccio della tuta aderente metallizzata a bande rosse, – quello non è più tuo padre, non è più Didamante. La Regina delle Cimici deve averlo fuso in se stessa dopo averlo divorato. E richiamarne l’umanità potrebbe rivelarsi più pericoloso che richiamare il lupo cattivo delle favole per fargli le carezze come a un cane.

Nonostante le parole del primissimo dei Secret, Armoniosa, sentendosi riconosciuta dal volgersi verso di lei di quegli in parte paterni ocelli arancioni, iniziò a gridare più forte. Ma servì a poco, a troppo poco. L’altra metà di quell’essere, quella disumana d’insetto, aveva appena percepito un altro stimolo dalle sue antenne, e questa volta, visto che nessuna cimice, compresa la Regina, aveva mai vantato un affetto votato a ridestarne la ragione, quella disumana metà di Chichamante pensò subito alla fonte da cui la ragione proviene. Pensò al pericolo. E non sbagliò.

Seicento UFO-Pentola, pilotati da seicento valorosissimi scimpanzé al soldo di Bobik, e col robottone Babi-Tob del loro ammaestratore subito dietro, si stavano infatti scagliando come furie verso Chichamante, per lanciargli addosso ogni singola munizione che il Numero Cim avesse da offrir loro, e senza nemmeno sapere chi fosse di preciso quell’essere. Rassomigliava a una cimice? Era da uccidere.

Fu allora che Chichamante agitò su e giù il suo rostro per la frenesia. Parte di lui, la peggiore, voleva provare la forza che lo sciame gli aveva infuso dopo la morte, e la sensazione di pericolo fece prendere a questa parte il sopravvento.

Gli ocelli arancioni si inclinarono leggermente col capo e l’Essere di ritorno da oltre il molliccio confine ultimo del cosmo si spezzò da solo l’indice della verdastra mano destra. Dentro era vuoto, fu per lui come spezzare una piccola canna e non sentì alcun dolore. Poi, come si fa con un’arma, lo puntò verso la scimmiesca flotta di UFO-Pentola nemica, ma tenendone bloccata la fessura col palmo secco dell’altra mano. Sembrava stesse per sparare qualcosa, eppure, la parte umana che era in lui pronunciò queste parole: – Bobik, valorosi scimpanzé, non costringetemi ad abbattervi.

John Fire Spitfire, capo stormo degli scimpanzé non conosceva il linguaggio umano, se non proferito dalla bocca ringhiante di Bobik. John Fire Spitfire era il capo stormo capostorno degli UFO-Pentola, uno scimpanzé che se avesse potuto avrebbe vinto da solo il Vietnam. John Fire Spitfire conosceva una sola parola, e seppur a mezza bocca riusciva pure a farfugliarla: – SPARATE!

Un raggio verde di Numero Cim partì così dall’UFO-Pentola di John Fire Spitfire e perforò il torace incredulo di Chichamante, il Re delle Cimici.

Fu come se John Fire Spitfire avesse sparato dritto contro la Diga delle Tre Gole, ma non ne uscì acqua né nient’altro che desse la vita. Bensì un’immane puzza che fu morte. Il getto di puzza proveniente dal Re delle Cimici colpì John Fire Spitfire e il suo stormo di valorosi scimpanzé, e mentre Chichamante, ricostituitosi il dito mozzato, si tarpava la falla sul torace, di John Fire Spitfire non era rimasto che lo scheletro del cranio buono per qualche museo di scienze naturali, e del suo stormo appena qualche bullone confuso con ossa primate alla deriva. Anche il Babi-Tob di Bobik si bloccò, per via dell’ampolla di vetro esterna del suo robottone che si era incrinata tanto da sembrare cosparsa di saette congelate.

– Io non ero qui per uccidervi, ma se proprio dovete farlo, – pensò Chichamante, – anziché cercare di schiacciarmi, vi conviene avvolgermi in un fazzoletto, e scaricarmi nel cesso più grande che l’universo abbia da offrirvi.

(Continua…)

L’Episodio L di Alan Scuro – Sbustare mentre il male decolla – verrà pubblicato, sempre qui, sempre in settimana, ma solo non appena lo avrò finito di scrivere in tutta calma. Perché non manca molto alla fine e non è facile chiudere tutti i cerchi narrativi.

Grazie per il vostro tempo. L’autore, Francesco Maurizi

(La storia, i luoghi e i personaggi di questo e di tutti gli altri racconti presenti in questo sito, sono frutto della fantasia dell’autore degli stessi, Francesco Maurizi, e come tali, sono protetti dal diritto d’autore.)

Episodio 49 1

Il racconto è finito, per ora. Grazie per il tuo tempo e, se ti va, condividilo!

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