Alan Scuro – Episodio XXXVIII – Verso il Varco di Tarlo

(Nell’episodio precedente, Lira e Aiello sono partiti per il Varco di Tarlo col robottone a forma di faro del Prestabilito americano. Ma intanto, sulla Terra…)

(Fino a “Zacchete” è consigliato l’ascolto, durante la lettura, di “(I just) Died in your arms”, visto che questo brano si stava diffondendo nella stanza, durante la presunta morte di Alan Scuro.)

Alan Scuro giaceva esausto nel letto con la pelle completamente carbonizzata. Tuttavia quello non era l’unico sintomo della malattia cosmica che lo aveva colpito.

Sotto al lenzuolo bianco dell’agonizzante eroe galattico, erano difatti ben visibili, all’altezza dell’inguine, due enormi tumefazioni. Cocomeri, velati come il Cristo.

L’Elefantiasi Oscura stava per mietere una nuova vittima.

– Sto morendo, Doc Secret… Sento le palle esplodermi. Ah! Fai piano!

– No, Alan Scuro! Non lasciarci… Resisti, ho quasi finito! Ora te lo tolgo.

– Di’ a quelli della Chimichanga Dam che li ho sempre odiati. È colpa loro se sono messo così male.

– No! Alan Scuro! Resta con noi! Ecco, fatto. Hai trentasette.

– Addio… Per me è finita… – disse il malato terminale voltandosi e abbracciando il cuscino. – Sono un relitto e Lira se n’è andata per combattere le cimici nel Cosmo di Nessuno. Presto diventerà una Prestabilita coi fiocchi, nonostante sia una donna… Il mio mondo è al tramonto.

– Ma, Alan Scuro! – disse il medico della mutua della Chimichanga Dam ricontrollando il termometro. – Hai solo trentasette di febbre.

– Ma le hai viste le mie palle?! E poi, Doc, proprio non lo avevi un termometro ascellare?

– Profilassi medica della Chimichanga Dam. Regola numero 4756: Mai usare termometri ascellari.

– Ho sempre pensato che i vertici volessero incularci! E loro fanno ancora di tutto per darmi ragione.

– Cosa posso fare per te, Alan Scuro.

– Hai fatto già abbastanza, Doc Secret… Ho trentasette di febbre e palle come cocomeri. Solo il Dottor Bias può salvarmi. Sai, eravamo di stanza insieme nel Cosmo di Nessuno e una volta gli salvai la vita. Una cimice stava per annientare il suo Arte-Tob e io l’ho uccisa. Vabbè non so raccontarla meglio di così, ma senza di me ora Bias sarebbe cibo per insetti.

– Impossibile incontrarlo, – disse il medicastro mettendogli una mano sulle palle, – Bias si è ritirato dopo la morte del primogenito. Nessuno sa dove sia.

In quel momento, la porta della stanza piena di robottini dove Alan Scuro aveva scelto di dire addio alla vita si spalancò di colpo. Un uomo misterioso era avvolto nella penombra del corridoio.

Quando la figura si svelò, compiendo il primo passo nella camera dei robottini e degli ultimi respiri, Alan Scuro e Doc Secret, intimoriti, sentirono uno strano Crack, come se quel losco figuro avesse appena calpestato un cracker.

Dopodiché, un terribile odore di coriandolo saturò l’ambiente, già saturo di dolore e sgomento.

– Dannazione, – disse l’avventore svelandosi, – ho calpestato una cimice… Non ho perso colpi.

– Maestro! – esclamò gioioso Doc Secret congiungendo le mani.

Ma l’uomo, dalla faccia scheletrica e in camice verde da primario non lo calcolò nemmeno, e si rivolse direttamente ad: – Alan Scuro. Eccomi, sono venuto a ricambiarti il favore.

– Dottor Bias, maestro! – esclamò di nuovo Doc Secret in cerca di attenzioni. – Per fortuna lei è qui, Alan Scuro è in fin di vita. E poi ci sarebbe quella mia raccomandazione per il dottorato dei Secret medici che aveva promesso a mio padre One Secret in cambio di un nuovo studio medico sull’astronave Matron…

– Scordatela, – gli occhiali quadrati del Dottor Bias si illuminarono colpiti dalla luce fredda della stanza del morituro, – io non raccomando nessuno. La Chimichanga Dam non è l’Italia.

Il primario specialista in malattie galattiche della Dam, Agron Bias, assai più esperto di quello della mutua che ora si era tristemente rannicchiato in un angolo, si sfilò l’auscultatore dal collo e lo premette sul petto annerito del povero Alan Scuro, per percepirne gli ultimi battiti.

– I battiti sono regolari, dobbiamo misurare la febbre secondo i protocolli della Dam.

– Ho trentasette, – esclamò Alan Scuro scattando su in preda a ritrovate energie, – ho trentasette, nemmeno è febbre. Me l’ha appena misurata lui, Bias. Non c’è bisogno di misurarla di nuovo.

– È vero, Doc Secret? – chiese il Dottor Bias al suo ex tirocinante.

– Sì, ma mentre gli mettevo il termometro il paziente si è mosso un po’ troppo, sembrava irrequieto. Forse, se lei conviene, credo sarebbe meglio ricontrollare.

– No! – esclamò Alan terrorizzato. – Provaci tu a non essere irrequieto quando un tizio ti infila un’asta di vetro freddo nel…

– Stai buono, Alan Scuro.

– No, Bias! Fermo, fermo!

Zacchete!

Il robottone Faro-Tob come un siluro stava lasciando l’atmosfera dopo averla penetrata a tutta potenza. E i due Prestabiliti, seduti nella cabina di comando fosforescente situata nella pancia del colosso, erano estremamente concentrati, ma ognuno per i fatti suoi.

A Lira, la Luna così vicina, sembrava un gigantesco cocomero bianco. Difficilmente avrebbe creduto che partendo da una scuola di provincia, dove era considerata un fenomeno da baraccone a causa del neo nero sul naso, si trovasse ora a solcare gli spazi immensi del nostro sistema solare. Il suo percorso la stava portando chissà dove, verso un destino nuovo, anche se in gran parte ancora celato.

– Semplice, dev’essere qui – disse Aiello fra sé e sé, poi rivolgendosi alla copilota. – Lira, ti dispiace se scendiamo un attimo?

– Sulla Luna? – gli rispose la ragazzina.

– No. C’è una stazione di servizio più avanti. Semplice.

– Stupido.

Il Prestabilito americano teneva la luce stellare del robottone puntata sulla superficie polverosa del satellite terrestre. Sembrava stesse cercando qualcosa.

– Eccolo!

Il robottone, un istante dopo un lampo verde, stava lentamente atterrando nel Mare della tranquillità, alzando nell’aria assente un enorme polverone coi suoi retrorazzi dalle fiamme verde acqua.

– Cosa fai? – chiese Lira incredula vedendo Aiello in procinto di uscire dal robottone senza casco, e solo con la tuta metallizzata a bande rosse che, seppur nella versione aderente, anche lei indossava. – Non possiamo uscire senza scafandro!

– Ah, per fortuna me l’hai ricordato. Aspetta, faccio una ricarica, poi berrai anche tu.

Da un thermos marchiato Chimichanga Dam della stessa estetica della tuta, Aiello fece un lungo sorso di qualcosa. Poi, con una faccia schifata, invitò Lira a fare lo stesso: – Bevi.

– Cos’è?

– Una zuppa di rape senza rape.

– Non mi va, sia tu che Alan me ne avete parlato sempre malissimo.

– Dovrai farci l’abitudine. Questa roba permette agli esseri umani di sopravvivere nello spazio aperto. Senza ti congeleresti morendo asfissiata nel mentre di centinaia di ictus causati dalla decompressione.

– Dammene un sorso… Ma fa schifo!

– Dovresti vedere quello che la prepara.

– Bobik?

– Sì, Bobik l’Ammuffito. Mi dispiace, ma presto dovrai incontrarlo e a lui non piace incontrare. Dai, bevi.

– Questa brodaglia sa proprio di muffa.

Lira non poteva credere ai suoi occhi. Aperto il portellone del robottone vide la Terra nella sua interezza. Una biglia di vetro sperduta nel mare oscuro del cosmo. Ma soprattutto non poteva credere nei suoi polmoni, capacissimi di respirare senza sforzi come se si trovasse ancora a Monsampietro Mollico, anziché nel mare bianco della tranquillità e su di un faro robotico baciato dalla violenta luce solare.

Scese anche lei dalla scaletta come aveva fatto Aiello, il quale stava cercando fra la polvere lunare qualcosa che sembrava importante.

Un piccolo passo per una donna, un grande passo per la Chimichanga Dam.

– Cosa cerchi, Aiello?

– Eccolo, il telefono! Lo lascio sempre quassù. Sai, quando vado alla Biblioteca di Alessandria-Tob a trovare… lei… ogni tanto vengo a fare una passeggiata qui. È l’unico posto più desolato di me che conosco.

– Aiello…

– Sai, Lira, questo mare di polvere è semplicemente un mare di storia, – disse il ragazzo mentre fissava rapito il Biblio-Tob in orbita intorno alla Terra, nel quale entravano miriadi di lucine verdi, – pensa che è proprio qui che la Chimichanga Dam, in quel 20 luglio 1969, fece credere all’umanità che la Nasa fosse appena riuscita a mettere piede sul proprio satellite, quando, invece, noi Prestabiliti solcavamo il mare della candida tranquillità già da millenni.

– Aiello…

– Fu mio nonno, il Prestabilito premio Nobel Edward Lightbeam a ingaggiare personalmente Freechcock, il regista di “Ombrelli”, per fargli ideare la scenografia e inscenare l’atterraggio, con tanto di navetta Apelle 11, impronta del “piccolo passo per l’uomo” e quella bandiera americana che puoi ammirare vicino al Faro-Tob, mentre ancora sventola aggiungendo stelle al cosmo. Solo che nessun complottista penserebbe mai che quei due mattacchioni di nonno e Freechcock montarono la falsa proprio nel luogo che dovevano fingere di aver appena raggiunto.

– Aiello, guarda sotto al piede del robottone. Quello non è?

– Oh, no, L’Apelle 11! E adesso chi glielo spiega a mio padre! Quello mi ammazza, quel trabiccolo era un ricordo del nonno…

(Continua…)

L’Episodio XXXIX di Alan Scuro – Tarlo – verrà pubblicato, sempre qui, il giorno 03-10-2023, alle ore 00:00.

Grazie per il vostro tempo. L’autore, Francesco Maurizi

(La storia, i luoghi e i personaggi di questo e di tutti gli altri racconti presenti in questo sito, sono frutto della fantasia dell’autore degli stessi, Francesco Maurizi, e come tali, sono protetti dal diritto d’autore.)

Il racconto è finito, per ora. Grazie per il tuo tempo e, se ti va, condividilo!

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