Capitolo I – Palle di fuoco
Dal nulla sorse il sole nella notte, poi cadde su di lei. Era quella una gigantesca palla di fuoco, una palla di fuoco più grande di un castello. Qualcuno, di bassa statura, avrebbe detto di un regno.
D’un fiato evaporarono le verdi foglie sugli alberi. Si liquefecero i cervelli delle vedette negli elmi roventi. Dei soldati fatati, quelli più in alto, con la pelle mutata istantaneamente in carbone, non erano più altro che ombre di farfalle tra le fiamme. Altri, troppo spaventati per morire, simili a stelle cadenti, preferirono i coccodrilli nel fossato ai magici bastioni roventi.
Poco prima, quella notte, come ogni notte da quando la sua bellezza era mutata in una maledizione, la principessa Loscia subiva la sua prigionia nella torre magica e, alla finestra, tenendosi per mano, ammirava il Castello Armato del suo futuro principe liberatore.
I Castelli Armati erano veri e propri forti da guerra, fatti costruire dai principi delle fiabe non appena una principessa subiva una maledizione. Una volta sorto un castello armato vicino al tuo, puoi star certa che da esso uscirà un bianco principe, e che quel principe, non appena se ne presenterà fiabesca occasione, verrà a salvarti. E così lui sarà un eroe e tu, tra le sue forti braccia protettrici, sarai salva. Per Loscia, già maledetta l’anno precedente da un mago malvagio, la fiabesca occasione fu quell’immenso dragone rosso come un rubino. Eppure, nessun bianco principe era ancora sopraggiunto.
Mentre il drago spostava montagne d’aria a ogni battito d’ali, tra le fiamme nel Castello Magico la piegata figura di un vecchio mago risaliva le scale esterne della torre più alta, quella di Loscia. Era circondato da una lieve ma salvifica aura azzurra e sembrava sapere il fatto suo. Le fiamme che tutto stavano divorando si biforcavano in lunghissime strade di fuoco quando colpivano il mago, proprio come fa l’acqua di un torrente quando incontra un pesante masso. Senza paura, ma vagamente preoccupato per la mancata venuta del principe, mago Merletto voleva prendere altro tempo contro quello che, grazie alla sua immensa sapienza, aveva riconosciuto come il rosso re dei draghi: Rossodisera, colui che traccia i tramonti.
Non appena la prima palla di fuoco, la principessa Loscia dallo spavento fece un difficilissimo balzo all’indietro a pie’ pari. In cuor suo sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, la sua fiaba prima o poi doveva pur iniziare. Ma il drago Rossodisera era un nemico al di là di ogni aspettativa e lei ne ebbe gran spavento.
Fortuna volle che Loscia cadde sul morbido del suo pomposo letto a baldacchino, e non contro una delle alte sponde di legno dello stesso. Loscia inizialmente cercò rifugio tra le principesche lenzuola, ma fu presto costretta a uscirne. Seppur vestiva di una leggerissima veste da notte, per giunta trasparente dove le correvano i fianchi, il caldo sottocoperta divenne presto più insostenibile della paura stessa. Quando la principessa fu nuovamente in piedi, le azzurre lenzuola si arrossarono davanti ai suoi occhi come un cielo al tramonto e le fiamme, come in una pergamena gettata nel camino spento ma ancora rovente, vi divamparono tutte d’un colpo.
Nonostante l’incantesimo protettivo che irradiava il Castello Magico, certe furiose fiammelle, da certe impercettibili incertezze nella pietra, erano comunque riuscite a farsi strada innescando qua e là piccoli focolari. Alcune le avevano brunito e bucato qua e là la setosa veste e una lingua di fuoco in particolare, che sembrò alla principessa priva di qualsivoglia fiabesca pudicizia, le sganciò con una frustata entrambe le spalline. Il pudore fiabesco fu salvo, almeno inizialmente, solo perché la principessa riuscì ad afferrarsi simultaneamente la lacera stoffa bruciata e il seno appena fiorito. Seppur sola in quella torre da più di un anno, Loscia arrossì e sentì di coprirsi perché fuori dall’alta finestra ad arco, oltre al drago, c’era qualcuno.
Mago Merletto, scacciando col largo cappello blu a punta un nugolo di fumo e scintille, l’aveva malcapitatamente intravista, subendo così la maledizione per la quale egli stesso l’aveva fatta rinchiudere dal padre. Ora, come un bimbo povero che appoggia i palmi delle mani su di una vetrina stracolma di irraggiungibili dolcetti, Merletto fissava Loscia al di là dei vetri variopinti, sognando il più indicibile dei sogni.
Il vecchio aveva occhi senza più palpebre che sembravano uova sode e uno strano sorriso sornione a bocca spalancata, appena nascosto dalla lunga barba bianca a punta. Intanto, dietro il bavoso mago, disegnato nel virare un segno di fiamme nel cielo notturno, Rossodisera aveva minacciosamente arrestato il suo volo circolare a mezz’aria. Loscia non sepeva più quale dei due sguardi temere.
- Principe! Aiutami!
Fu un lampo di giorno quando un’altra palla di fuoco fiammeggiante colpì Merletto alla schiena e con lui la principesca torre magica. Le fiamme sibilarono con voci ventose e Loscia si portò le mani sul viso per proteggersi dalla troppa luce. Merletto, approfittando dello stesso accecante bagliore si sottrasse dal guardare Loscia e rinvenne come l’uomo di onorevoli principi qual era. Si coprì dunque gli occhi non più languidi con la larga manica blu della palandrana merlettata e scomparve verso l’apice puntuto della torre. La tremenda maledizione che ne aveva incatenato i pensieri al disonorevole altare della lussuria aveva perso quel po’ di potere che bastava.
“Chiunque la vedrà, arderà d’amore per lei.”
Il mago malvagio Uncinetto, un anno prima, scagliò questa maledizione contro Loscia perché Re Tizzone, il padre della principessa, aveva scelto Merletto come mago di palazzo anziché lui. Pensate che quella notte, prima del vecchio Merletto, lo stesso re dei draghi Rossodisera era caduto nella stessa trappola di beltà dell’incantevole Loscia.
Mentre il drago rosso era a caccia di un gregge da arrostirsi per la cena, meritata, dopo aver come ogni notte tracciato le linee di tutti i tramonti del mondo delle fiabe, Rossodisera si era avvicinato al Castello Magico per via di un’improvvisa raffica di vento, e vedendo Loscia affranta alla finestra se ne era perdutamente innamorato. Peccato solo che l’amore i draghi lo esprimono a suon di pallate di fuoco, anziché con mazzi di rose, cene al lume di candela e smielate dediche bardiche.
Merletto, sentendo una fiamma tra lo stomaco e il cuore, aveva ripreso baldanzoso a risalire la torre in fiamme. Faceva le scale a due a due, il vecchio Merletto, con la vecchiaia che, seppur solo nello spirito, sembrava svanirgli a ogni passo di sandali. L’aura azzurra che lo avvolgeva era divenuta assai più splendente. Il neonato amore per Loscia aveva reso incredibilmente più temibile colui che Re Tizzone aveva decretato indiscutibilmente come il più potente tra i suoi due maghi di corte.
Quando la principessa, come mamma Diavolina l’aveva fatta, si tolse le mani dal dolce volto ancora imbarazzato, le sue lacrime, di paura per il drago e di vergogna per il mago, evaporarono all’istante nel constatare che i due non c’erano più. Smise di arrossire, ma nonostante la scomparsa di sguardi indiscreti, smettere di arrossare le fu impossibile. Le pareti di pietra turchese erano roventi e, fuorché la sua pelle, avvolta come l’intero castello dalla salvifica aura di Merletto, tutto intorno a lei bruciava. In quell’aria di lava, l’incantesimo protettivo del blasonato mago di palazzo le era ormai poco più che un’effimera armatura di rugiada.
Il fuoco, dai candidi drappeggi del letto a baldacchino, si era sparso ovunque nella regale stanza al ripetuto tremare dell’alta torre incendiata. Le lunghissime tende lilla delle quattro alte finestre erano di fiamme. La sua amata specchiera rotante, dove di mattina e di sera Loscia si spazzolava i lunghi capelli neri come il carbone, era di fiamme. Perfino l’armadio e il vestito color rubino da principessa, tenuto come buono per quel principe non ancora accorso, erano tutt’uno con il fuoco in ascesa.
Continua…
Due chiacchiere con lo scrittore: torno a scrivere qui a cadenza settimanale. Non ho dimenticato Alan Scuro – forse voi sì – e ogni giorno correggerò o riscriverò uno dei suoi vecchi 50 capitoli per arrivare entro settembre al finale. Tuttavia, per non annoiarvi troppo, ho deciso di pubblicare qualche cosa di altro sapore. Una fiaba, una fiaba per grandi, per noi che alle fiabe non crediamo più, non avendone, o credendo di non averne, più nessun bisogno. E forse è vero. sapete? Ma ieri ho visto un reel su Instagram dove tanta gente correva disperata alla strenua ricerca di un pezzo in saldo dal grossista che li incitava, e filmava. Le due cose non sono strettamente connesse, ma è per quel video che ho deciso di tornare a pubblicare.
