Alan Scuro – Episodio VI – Scuola guida (Prima parte)

(Nell’episodio precedente, Lira ha fatto le bolle di sapone a casa di Orione, e lo stesso giorno lui le ha procurato il robottino per ottenere l’intervista da Alan Scuro. Chissa se le due cose erano collegate.)

[Intervista ad Alan Scuro – Appunti di Lira sul pilota del Babi-Tob: Bobik, il cuoco ammuffito – Li scrivo in macchina mentre cerco di insegnare ad Alan come si guida un’auto, aiuto!

Sulle sponde dell’Eufrate, non molto tempo fa, c’era ancora un piccolo villaggio di pescatori, sopravvissuto ai recenti salti in lungo della storia.

Il villaggio era alla fame da quando il nuovo sacerdote Siro, piantando un pugnale di cristallo nel cuore del padre Nabuko, aveva preso il comando del Tempio delle Lische.

Siro era forse l’ultimo tiranno vecchio stampo. Dal 1983, anno in cui era salito al potere, aveva iniziato a requisire tutte le terre, le barche e ogni altra fonte di sostentamento del villaggio, con lo scopo di ridurre il proprio popolo alla fame.

La sua perfidia era unica. Si dice addirittura che avesse fatto ingerire quarantuno lische di piombo rovente a un povero ladruncolo, trovato dalla particolare gendarmeria del Tempio con in tasca un sacchetto contenete quarantuno more bianche, nemmeno troppo commestibili.

Così, prendendo i villani per la gola, Siro riuscì a farsi dare la cosa che più bramava, l’innocenza delle loro figlie.

Ogni anno a ottobre e chiunque avesse una figlia femmina in età fertile, a Siro non importava quale fosse l’età della sfortunata, doveva portarla davanti alle porte dorate del Tempio delle Lische e là doveva abbandonarla per un intero mese, in balia degli eccessi del tirannico sacerdote.

Anche alla povera Assa, figlia di un addestratore di cammelli e di una lavandaia, era toccato quell’infausto destino, e per due anni consecutivi la ragazza aveva partorito una figlia femmina. Tuttavia, al terzo anno di soprusi, la giovane diede alla luce il primo e unico genito maschio nato nel villaggio da quando quegli harem ottobrini si succedevano, e presto Siro interruppe ogni sua pretesa e nel villaggio non si ebbero più sue notizie.

Fra le vie polverose e le casette bianche del villaggio senza tempo, ora si vociferava che Siro doveva aver raggiunto il suo scopo, che poco aveva a vedere con le idee di meschina lussuria che i popolani si erano fatti di lui fino ad allora. Siro aveva bramato un erede maschio per portare avanti la sua casata sacerdotale e ora finalmente lo aveva ottenuto. Il suo nome era Bobik.

Tuttavia, non appena Assa comprese che Siro le avrebbe sottratto il figlio, fuggì inseguita dalle Vergini delle Lische, guardie scelte del gran sacerdote, e nascose la prole sotto una barchetta in risacca, condannandosi alla fine spettante ai traditori. Venne gettata nel pozzo di lische di piombo posto al centro esatto della Sala Grande del Tempio, non appena il trono del sacerdote massimo.

Semiramo, modesto pescatore forzatamente a servizio del tiranno, aveva infine trovato i tre bambini sotto la sua barchetta, e portandoli in una baracca al di là del fiume che aveva costruito per alcuni suoi traffici di gusci di gamberetti, là li aveva allevati come figli.

In una sera tersa di otto anni dopo, prima ancora che le stelle balenassero dal manto notturno, Bobik stava seduto sulla ridente polena della barchetta di Semiramo, giunto a portare agli sventurati i pochi viveri che era riuscito a sottrarre dalle dispense del potente Siro. E un regalo speciale per Bobik.

Guardava il cielo, Bobik, via via sempre più cosparso di puntini luminosi, e ciucciava una lisca di pesce come si fa con un lecca lecca. Era felice.

– Un giorno ucciderò Siro e sfamerò il nostro popolo, – si diceva Bobik sfilandosi una spina di pesce dal palato, – ma prima di tutti papà Semiramo, che ci porta queste ottime lische e oggi addirittura un pesce intero per il mio compleanno!

A un tratto quella sera, dopo aver gettato la lisca ormai insapore nel fiume che aveva stranamente iniziato ad agitarsi, Bobik vide sfrecciare nella notte una enorme pentola nera, col coperchio ma senza manici, che aveva rallentato la sua discesa fino a lambire la corrente dell’Eufrate.

Al bambino per un istante l’oggetto volante non identificato a forma di pentola nera parve essersi fermato a osservarlo, attratto dal falò acceso da Semiramo in via del tutto eccezionale per cucinare il suo regalo di compleanno.

Semiramo si precipitò a coprire il falò con un panno, ma anche se Bobik sentiva il proprio animo remare in un fiume di sangue e paura, l’UFO-Pentola non sembrò essere interessato a loro, perché in un boato verde era sfrecciato nella direzione del Tempio alzando due biblici muri d’acqua al proprio tonante passaggio.

– Cos’era quella pentola volante? – chiese Bobik alle sorelle intente a ravvivare le braci dove il pesce allo spiedo sembrava l’unico a provare la sua stessa paura.

Ma gli rispose Semiramo, che non troppo lontano stava pisciando contro un albero: – Siro è tornato, non si era chiuso nel tempio come a detta di popolo. Ma non abbiate paura figli miei, qui sarete al sicuro.

Durante il primo lauto pasto dell’anno, Semiramo raccontò a Bobik e alle sorelle la verità sul loro vero padre e guadò il fiume fino al villaggio con un peso in meno nel cuore e sulla barca. Fu l’ultima volta che lo videro.

Tuttavia prima di mettersi a remare, chiamò a sé Bobik, ancora scosso per l’aver scoperto di essere il figlio del tiranno che gli aveva portato via sua madre: – Qualunque cosa accada, Bobik, ama il silenzio che ti circonda.

– Padre… Sei tu mio padre! Non andartene! – ma Semiramo scomparve fra i flutti sinistri della notte.

Qualche giorno dopo, per la fame, Bobik e le sorelle si erano spinti nella corrente nel disperato tentativo di acciuffarvi qualche gamberetto. Ma quello che vi trovarono fu solo un pensiero di morte.

In lontananza, da dove solitamente spuntava la ridente polena di Semiramo, quel giorno spuntarono invece decine di polene raffiguranti la Fenice delle Lische, simbolo del Tempio e dunque, del tiranno Siro. Secondo la leggenda, come la normale fenice, la Fenice Delle Lische anche si incendiava nel morire, ma era candida e candida risorgeva dalle sue ceneri con le piume forgiate in aghi appuntiti e col becco affilato come uno stiletto. Dato che aveva solo due vite, quell’animale mitologico risorgeva più forte, per non morire la seconda e ultima volta.

Spaventati, Bobik e le sorelle cercarono di tornare a riva, ma nella concitazione del momento tralasciarono quegli accorgimenti utili a resistere alle feroci correnti dell’Eufrate, e in men che non si dica, come strappati via dal fondale da una mano subacquea e invisibile, furono preda dei flutti e del buio.

Bobik, ancora completamente fradicio e tremolante, si risvegliò chissà quante ore dopo in una cella le cui pareti di pietra erano infestate da una strana muffa rossa.

Il suo pensiero andò subito alle sorelle Ishtar e Samas, che non erano lì con lui, tuttavia alle sue grida di pianto e disperazione la donna velata a guardia della cella, che dall’armatura Bobik comprese essere una delle Vergini Delle Lische, rispose con lo sguardo severo qualcosa che Bobik interpretò come: – Le tue sorelle non esistono più.

Semiramo gli aveva parlato delle Vergini delle Lische, un gruppo di donne guerriere votate al silenzio e alla castità, da sempre al servizio dei tiranni del Tempio, ma quella bellissima donna era la prima che Bobik vedeva in carne e lische.

La Vergine indossava un’armatura squamata e bianchissima, sotto la quale un manto bianco le scendeva drappeggiante fino agli schinieri argentati. Aveva un velo bianco a coprirle il volto, sopra al quale troneggiava un elmo d’avorio cosparso di spine. L’arma della Vergine era un’asta, culminante in una piastra piatta di fusi aguzzi, una sorta di scopa micidiale per intenderci. Brandendola, la soldatessa spiccava su quell’ambiente umido, rosseggiante e tetro allo stesso tempo, e il suo silenzio, negli anni in cui fu lei la sola a sorvegliarlo, fu l’ennesima piaga che Bobik il prigioniero dovette subire.

Guardando quella zuppa rossiccia che pareva di rape ma senza dentro rapa alcuna, Bobik rimpiangeva il sapore aspro ma deciso delle lische di pesce e dei gusci di gamberetto con cui Semiramo lo aveva cresciuto. Una sensazione alla si stava meglio quando si stava peggio, per intenderci.

Non c’erano finestre nella sua cella, perché Siro non voleva solo privarlo della libertà, voleva anche che Bobik la dimenticasse. Non c’erano fessure nel muro dalle quali potessero uscire topini a cui dare un nome. Non c’era una branda, non c’era una latrina – solo un vaso – e nemmeno una sedia, o un tavolo su cui pregare il buon dio Marduk, che pure non c’era. C’era solo Bobik, il passare delle ore e dei giorni e quella guardia che lo sorvegliava a vista, da mattina a sera, da oltre le sbarre, al velo che ne lasciava scoperti solo gli occhi e al silenzio che l’avvolgeva e che proprio Bobik non riusciva ad amare.

Col passare del tempo, in quella cella non ci fu nemmeno più Bobik.

Dopo un lustro, la sola zuppa di rape senza rape aveva ridotto Bobik a crescere come un ragazzo emaciato e dalla pelle rossiccia, una lisca di pesce dallo sguardo ferino, ma la silente guardia sembrava non avere a cuore nè la salute del ragazzo né tantomeno il suo aspetto. Difatti per accorciarsi i capelli e la barba, Bobik era costretto a usare le proprie unghie, che costantemente teneva affilate usando il pavimento come una lima.

Restava tutto il giorno seduto in un angolo della cella e spesso anche la notte, che senza finestre non gli era possibile distinguere dal giorno, tramando in silenzio di uccidere la vergine Delle lische. Ma non per fuggire, per ucciderla.

Perché per il prigioniero il bianco di quella donna era divenuto il silenzio stesso, in contrasto con la muffa rossa delle pareti che, insinuatasi in lui, gli sussurrava con miriadi di voci sinistre.

Quella strana sostanza fungina col tempo era passata alla pelle di Bobik, poi ai pochi muscoli e alle ossa del ragazzo. E infine gli aveva ammuffito l’anima, privandolo di ogni raziocinio e della gioia di vivere che da bambino gli aveva permesso di vedere un lecca lecca in una lisca di pesce. Privandolo dunque, della sua umanità.

Dopo nove anni Bobik era divenuto egli stesso la muffa, tanto che quando apriva gli occhi, in quella cella oscura e rosseggiante, sembrava aprirli la parete.

(Continua…)

  • Scrittore, niente contenuti speciali?
  • No, zitto Alan Scuro, o il lettore perderà il filo della storia di Bobik…
  • Va bene, scusa…
  • A venerdì.
  • A venerdì.

L’Episodio VII di Alan Scuro – Scuola guida (Seconda parte) – verrà pubblicato, sempre qui, il giorno 03-03-2023, alle ore 00:00.

Grazie per il vostro tempo. L’autore, Francesco Maurizi

(La storia, i luoghi e i personaggi di questo e di tutti gli altri racconti presenti in questo sito, sono frutto della fantasia dell’autore degli stessi, Francesco Maurizi, e come tali, sono protetti dal diritto d’autore.)

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Bobik

Il racconto è finito, per ora. Grazie per il tuo tempo e, se ti va, condividilo!

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