Alan Scuro – Episodio XI – Il numero Cim

Aiello aveva solo sedici anni quando scoprì di essere un Predestinato.

Una email ufficiale della famiglia Lightbeam, arrivata alla casella di posta di un rinomato orfanotrofio di Boston, aveva asserito che il ragazzo dovesse presto fare le valigie, perché si era scoperto che Aiello, anziché l’orfano che aveva sempre creduto di essere, era in realtà il primogenito di una delle famiglie più ricche e potenti del mondo. La stessa, che quell’orfanotrofio, lo possedeva.

L’email ufficiale diceva anche che il ragazzo, per la sua salvaguardia, dovesse presentarsi presso un luogo che non era dato sapere a nessuno, dove sarebbe stato scortato dal furgone dei gelati di zio Elvis, che tutti i mercoledì passava per l’orfanotrofio, ad addolcire la solitudine dei piccoli ospiti.

Senza pensarci due volte, Aiello acconsentì, anche perché gli orfanotrofi Lightbeam erano famosi per la loro intransigenza nei confronti dei ritrosi. Ma lui un ritroso non lo era mai stato, anzi, quel ragazzo esile dagli zigomi pronunciati e dai capelli corvini a oscurargli lo sguardo intenso, era da sempre il vanto dell’istituto.

Già all’età di otto anni, stava quasi per laurearsi in matematica, sostenendo nella sua tesi di dottorato che nella matematica vi fosse qualcosa che non andasse: la matematica gli sembrava una menzogna.

Un numero, poi un altro, verso l’infinito e basta. Poi lo zero, un’assurdità perché nulla esiste in quanto assente. – E se poniamo che in astrazione l’assenza possa esistere, ebbene, in astrazione anche le fatine esistono in quanto assenti, – enunciò Aiello masticando una caramella, a quella platea di imperniati professoroni che, attraverso compiacenti risate di scherno, cercavano di salvaguardare quello in cui per tutta la vita avevano creduto: lo stipendio.

Per difendere la scienza, o meglio il credo, che per tutta la vita aveva dato loro da mangiare, fama accademica, successo e un’auto blu, quei baroni coi paraocchi avrebbero fatto qualsiasi cosa, compreso il canzonare un bambino prodigio col dono della visione d’insieme.

– E dunque, – chiese un professorone coi baffi ancora sporchi dalla colazione, – lei, giovane Aiello, dopo un paio di esami sostenuti, va detto, egregiamente, avrebbe fatto qui riunire tutti noi matematici per affermare, in bermuda, che la matematica non esiste?

– Esatto, – rispose il bimbo sistemandosi gli occhiali, – vedo che almeno questo l’hai capito.

– E dunque, lei afferma che non esiste perché non esisterebbe lo zero, giusto?

– Esatto.

– E cosa accade se ci sono dieci uomini in una stanza?

– Che ne so io? Forse faranno amicizia. Di certo non procreeranno.

– Non capisce, piccolo Aiello, quanti uomini sono in quella stanza?

– Lo hai detto tu, ma lo ripeto se lo hai dimenticato: dieci.

– E se ne facessi uscire uno?

– Gli altri sarebbero tristi. O felici. Dipende da chi faresti uscire. Se esci tu, felici.

– Parliamo di matematica, signorino Aiello, non di sociologia, se ci sono dieci uomini e ne esce uno, dall’insieme di dieci va sottratta una unità, e dunque ne resteranno solo nove. Se ne escono due, otto. Tre, sette. Quattro, sei. Cinque, cinque. Sei, quattro. Sette, tre. Otto, due. Nove, uno. E finalmente, increscioso che lei me lo faccia ripetere, se dovessero uscire tutti, in quella stanza non rimarrebbe nessuno. E dunque, zero sarebbe il numero degli uomini, e l’insieme-stanza verrebbe così a contenere zero unità.

– Gli insiemi non esistono. Increscioso che tu me lo faccia ripetere, – rispose Aiello con supponenza, scrollando le spalle.

A quelle parole, il borbottante terrazzamento di allori che era quell’aula si congelò. Anche il professorone dei professoroni, per un istante, col suo silenzio, sembro aver preso sul serio le parole del piccolo Aiello, cui autorità derivava principalmente dal fatto che dietro di sé avesse una gigantesca lavagna verde scuro, riempita tutta da solo col gessetto e con l’aiuto di una scala. Era una lavagna piena di numeri e simboli, pane per i matematici, ma che nessuno degli astanti avrebbe mai potuto risolvere.

Era uno dei problemi per il millennio, arcani della matematica impossibili da dimostrare, ma che Aiello Lightbeam, discendente di colui che sbrogliò il nodo Gordiano con un colpo di spada, aveva risolto dando un colpo di spada alla matematica stessa.

Aiello diede un occhio alla lavagna, e subito lanciò uno sguardo di sfida all’aula magna: – Non so se lo sapete, ma lo zero è stato introdotto dall’arabo Muhammad ibn Musa nell’Ottocento dopo Cristo, e acquisito dall’occidente grazie all’italiano Leonardo Fibonacci all’inizio del Tredicesimo secolo. Fra questo periodo e quello della civiltà sumera, dove lo zero era formato da due imbuti paralleli e inclinati, a simboleggiare l’assenza, di esso non c’è alcuna attestazione.

– Lo storico Carl Boyler tuttavia afferma che sia stato il matematico indiano Brahmasphuta Siddhānta a inventarlo, nel Sesto secolo dopo Cristo, quindi ben prima di Musa.

– Questo non lo sapevo… – ammise Aiello toccandosi il naso.

– Signor Aiello, – infierì il professorone guardando di sfuggita il proprio orologio d’oro, – se ho dovuto avvertirti che questa non è una lezione di sociologia, allora ti avverto anche che non lo è nemmeno di storia.

– È proprio questo il vostro problema. Voi credete che vi siano degli insiemi. La stanza con dieci uomini, quest’aula, l’insieme degli atomi che compongono il sole, l’insieme degli organismi marini, l’insieme degli uomini e delle donne, l’insieme di chi sa e di chi non sa, l’insieme di chi guadagna come voi e di chi no, l’insieme dei numeri naturali, 0, 1, 2, racchiuso in quello dei reali -1, 0, 1, racchiuso in quello dei razionali, le frazioni, racchiuso in quello dei reali, tutti quelli con la virgola, a sua volta inscritto nell’insieme dei numeri complessi.

– Grazie, signorino Aiello, – disse il professorone voltandosi beffardo verso i suoi colleghi, – ma noi siamo i conoscitori delle leggi che reggono l’universo, quindi non ci serve che un bimbetto saccentello ci dia ripetizioni sulle basi elementari della matematica, che, a quanto pare, ha appena imparato.

– È sulle basi che si regge tutto.

– La facoltà di filosofia è nell’altro plesso…

– Ho notato e non dovrebbe. Ma ho notato anche altro -, disse Aiello indicando l’orologio sotto la toga del professorone. – Ho notato anche che guardi sempre l’ora. Devi andare da qualche parte?

– Ho un impegno di lavoro.

– Tu sei il Magnifico rettore del MIT, starmi a sentire è il tuo lavoro.

A quelle parole il professorone si indispose per l’ultima volta, e per il nervoso, con una mano si arricciò un mustacchio sporco di crema. Poi si alzò, battendo le mani sul proprio banco. Aiello notò che il professorone dei professoroni non era un uomo imponente bensì un ometto alto non troppo più di lui. Tuttavia, si distingueva dai colleghi sottoposti per un soprabito di pelle di cammello, che orgogliosamente indossava sopra alla toga.

Il rettore quindi raggiunse la lavagna indicandovi tre puntini al centro esatto del problema di Pancarré, che Aiello affermava di aver dimostrato dando un colpo di spada alla matematica stessa.

– Ragazzino, – inveì l’uomo in toga, – posto che questo problema, togliendo lo zero dalla matematica possa dirsi risolto, ebbene, qui manca un numero!

– Il ragazzino, toccandosi il naso come a coprirsi parte del volto, cercò di spiegare: – Non è un numero, o meglio, è improbabile che lo sia. Quello è l’Ente che lega tutti gli insiemi esistenti al posto dello zero. In quella stanza coi dieci uomini, se fai uscire tutti, non resta lo zero, perché come ci hanno insegnato gli antichi romani, dello zero si può fare benissimo a meno. Resta quell’Ente. Il problema è che non ho ancora scoperto cosa sia di preciso.

E dunque, – attaccò il professorone lisciandosi l’altro mustacchio, – cari colleghi, il signorino qui è come quel pianista che impara due scale e pensa di aver scoperto l’ottava nota. Un falsario, ecco cosa sei, Aiello! La tua tesi di laurea è respinta, torna alle elementari!

Per quanto geniale, Aiello era pur sempre ancora un bambino. Non solo. Era un bambino che aveva sempre vissuto senza la famiglia d’origine e in un orfanotrofio gestito da suore. E quelle parole, infertegli dal quel professorone assai odioso, ma che Aiello rispettava per via delle sue brillanti pubblicazioni, riecheggiarono nel piccolo Lightbeam come dette da un padre.

E fra le risate di scherno degli allori scongelati, che chiassosamente festeggiavano la salvezza della matematica, ovvero della propria fonte di reddito mensile, il ragazzino corse su per le scale dell’aula terrazzata, coprendosi le lacrime dalle cartacce appallottolate che gli volarono contro.

(Continua… Ma tu continua a leggere i contenuti speciali!)

Nuovo dialogo fra Alan Scuro e lo scrittore di Alan Scuro

  • Che palle la matematica…
  • Lo so, Alan Scuro, ma sta tranquillo. La matematica non esiste.
  • Parli del numero Cim?
  • Esatto.
  • Ma lo sai che ci sarebbe anche…
  • Alan Scuro, niente spoiler ‘sta volta.
  • Uffa. Almeno un’immagine figa?
  • Vediamo.

Il Faro-Tob in assetto da guerra:

Faro guerra

L’Episodio XII di Alan Scuro – Il numero Cim (parte due) – verrà pubblicato, sempre qui, il giorno 07-04-2023, alle ore 00:00.

Grazie per il vostro tempo. L’autore, Francesco Maurizi

(La storia, i luoghi e i personaggi di questo e di tutti gli altri racconti presenti in questo sito, sono frutto della fantasia dell’autore degli stessi, Francesco Maurizi, e come tali, sono protetti dal diritto d’autore.)

MIT

Il racconto è finito, per ora. Grazie per il tuo tempo e, se ti va, condividilo!

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