Alan Scuro – Episodio XVII – Stallo all’italiana

– Ce l’ho fatta! – esclamò Alan Scuro con entrambi i pugni rivolti al soffitto in puerile segno di vittoria. In una mano teneva stretto un bisturi affilatissimo.

– Alan, – lo riprese Lira, – guarda che non abbiamo mica finito di correggere gli appunti su Aiello!

– Tu non capisci, guarda che bello! È uguale al mio Remo-Tob!

Lira smise di fare le bolle, appoggiò gli appunti sulle gambe e lanciò uno sguardo verso il tavolo della sala da pranzo, adibito a banco da modellismo.

Illuminato da una luce prepotente vi risplendeva il modellino completo del Remo-Tob in scala 1:144, e risplendevano gli occhi da bambino di Alan Scuro, felicissimo dell’essere finalmente riuscito a far incastrare la riproduzione dello Scudo Rettangolare al sistema di bloccaggio difettoso della mano del robottino.

La ragazza comprese allora che se non avesse detto nulla, l’ex pilota ci sarebbe rimasto veramente male, come un bambino a cui la mamma non elogia l’ennesimo scarabocchio appendendolo sul frigorifero.

– È veramente bello, Alan, – disse lei avvicinandosi all’uomo in camicia bianca e pantaloni modello Chimichanga, – posso toccarlo?!

Ma mentre ancora stava chiedendo, quindi prima di ricevere una risposta che sarebbe stata certamente negativa, Lira afferrò il robottino, stringendolo con forza, troppa forza.

Dovete sapere che un robottino di quelli può contare centinaia di pezzi minuscoli, spesso impossibili da assemblare una seconda volta dopo la prima, perché, non essendo contemplato nell’assemblaggio l’uso di colla, gli incastri di plastica maschio-femmina, una volta fatti combaciare e premuti l’un nell’altra, si sigillano.

Solo l’elmo del Remo-Tob in scala 1:144 contava sette pezzi: due interni, che simulavano gli occhi robotici, minacciosi, rossi e infossati nell’elmo che il mondo aveva visto scendere sul Colosseo e atterrarvi, e quattro esterni. A incastro indissolubile, due di questi componevano l’elmo da legionario, mentre altri due, nettamente più delicati, il pennacchio di crini fiammeggianti che sovrastava il cimiero del leggendario robottone da combattimento del Predestinato italiano.

Per non parlare delle giunture interne al collo, alle spalle, ai gomiti meccatronici, alle mani prensili e al torso. Il modellino poteva ruotare di 130°.

Ve ne erano altre, parimenti delicatissime nelle ginocchia, nelle caviglie… Tutto in quel giocattolo da collezione era difficilissimo da montare bene una prima volta e praticamente impossibile da rimontare una seconda senza correre il rischio di lesionare o peggio spezzare qualche anima maschile nella rispettiva sede femmina.

Un po’ come nelle storie d’amore, diceva sempre Alan Scuro in altri termini che qui censuro. Due pezzi dagli animi perfettamente combacianti, una volta sigillati l’un l’altro non dovrebbero mai venire divisi o dividersi, altrimenti uno dei due, che almeno nei modellini spesso è il maschio, per le pressioni esterne e per l’indebolimento che dà adattarsi anche di poco all’altro, perché la perfezione non esiste, si spezzerà. E una seconda perfetta unione non sarà possibile, se non con l’antiestetico uso di collanti e innaturali artifici, che seppur riuscirebbero a ingannare occhi esterni in rapido passo fra le vetrine in cui come modellini da collezione siamo esposti, mai potranno cambiare nei due pezzi la consapevolezza che qualcosa fra loro si sia inesorabilmente rotto.

– Ferma! Cretina! Vacci piano, perdio! Non vedi che è delicato! Se si spacca e cade un pezzo dell’elmo fra le sprue, Cazzo lo ritrova!

– Scusa, scusa! – disse Lira adagiando delicatamente il robottino sul tavolo dov’era prima, come se si fosse appena tramutato in un ordigno atomico da centocinquanta megatoni di bestemmie.

Seppur esagerando un po’ il tono in drammaticità, Alan Scuro non aveva tutti i torti. Sul tavolo e per terra era pieno di piccolissimi pezzetti di plastica di svariati colori, e se un pezzo del robottino vi si fosse mischiato, sarebbe stato quasi impossibile da riconoscere. Inoltre per costruirlo, Alan Scuro aveva seguito visualmente le istruzioni in giapponese, tenendo come riferimento solo le immagini degli esplosi e staccando uno alla volta ogni pezzo dalle plance in cui questi erano stati fusi e numerati.

Va detto, tutto quello scarto plasticoso disseminato nella stanza come stelle nello spazio, era derivato dall’enorme esperienza di Alan Scuro nell’assemblare modellini. Infatti dalle plance, i vari pezzetti Alan Scuro avrebbe potuto staccarli semplicemente torcendo ogni volta il pezzo, suggerito dagli esplosi, quanto bastava perché si staccasse da solo dai filamenti, sprue, che lo tenevano ancorato. Tuttavia così facendo, residui delle sprue, seppur piccoli e quasi impossibili da notare, soprattutto nei pezzi interni, sarebbero rimasti attaccati al pezzo da montare sul robottino, abbruttendo il risultato finale.

Quindi per evitare ogni possibile imprecisione, Alan Scuro aveva staccato dalle plance pezzo pezzo con delle apposite tronchesine, recidendone ognuno ben prima del finire dei fini filamenti di plastica che lo ancoravano con gli altri alla rispettiva plancia pressofusa.

Solo dopo aveva troncato anche gli ultimi residui rimasti attaccati al pezzo in lavorazione, questa volta utilizzando un affilatissimo bisturi di precisione, per poi completare a regola d’arte il lavoro con l’uso di ben tre tipi diversi di carta abrasiva, scalandone la grana man mano che la superficie lavorata del pezzo suddetto perdeva ogni impurità.

Alan Scuro dedicava a ogni parte dei suoi modellini la stessa precisione che un monaco amanuense dedica alla prima lettera dei suoi trascritti. Dunque era logico che si fosse incazzato con Lira.

Intanto, una bolla di sapone, quella alla quale era stato assegnato il destino migliore, stava volando verso Aiello ancora assopito sul divano con un braccio che toccava il pavimento, anche se solo per le bolle di sapone il destino migliore coincide sempre con quello più lungo.

Sulle labbra del predestinato al risveglio Aiello Lightbeam, la bolla, lentamente si posò. Per poi scoppiare, infondendo il proprio sapore saponifero nella bocca del ragazzo.

– Dove sono?!

– A casa mia, coglione, – gli rispose subito Alan Scuro puntandogli contro la pistola laser tutta colorata e con ventosa, – e sei in arresto!

– Alan, – intervenne come poté Lira, – perché?! Lascialo stare!

– Zitta, donna.

Aiello, ripresosi dalla sbornia ma traumatizzato in quel risveglio dal sapore di sapone e dal minaccioso ex collega, sentendosi in trappola cercò l’uscita.

La trovò, ma vicino alla porta, appoggiata sulla parete e spenta, vide anche la sua spada.

(Continua…)

L’Episodio XVIII di Alan Scuro – Botta e risposta – verrà pubblicato, sempre qui, il giorno 19-05-2023, alle ore 00:00.

Grazie per il vostro tempo. L’autore, Francesco Maurizi

(La storia, i luoghi e i personaggi di questo e di tutti gli altri racconti presenti in questo sito, sono frutto della fantasia dell’autore degli stessi, Francesco Maurizi, e come tali, sono protetti dal diritto d’autore.)

XVII mini

Il racconto è finito, per ora. Grazie per il tuo tempo e, se ti va, condividilo!

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